Prodotti complementari

Prodotti per controllare la catalisi
Abbiamo già accennato a questi prodotti nel descrivere le matrici ed ora passiamo a precisare
meglio i gruppi più usati e cioè: inibitori, acceleranti e catalizzatori.

Inibitori
Si aggiungono alla resina (in misura del 0,05 – 0,10 % in peso) con lo scopo di controllarne il tempo di vita, cioè evitare l’avvio accidentale della polimerizzazione sotto l’azione di calore o irraggiamento. I prodotti più utilizzati sono: idrochinone, benzochinone, dibutilparacresolo.

Acceleranti
Si ricorre a questo tipo di prodotti nella formulazione di resine destinate allo stampaggio a freddo, con lo scopo di aumentare la velocità di decomposizione del catalizzatore in radicali liberi.
Si aggiungono alla resina in misura del 0,10 -0,50 % in peso e sono quasi esclusivamente:
soluzioni di sali di cobalto (ottoato,  naftenato) , di vanadio o manganese, oppure ammine terziarie.

Pertanto nel caso di stampaggio a freddo si acquistano resine pre-accelerate direttamente dal produttore.  Per lo stampaggio a caldo non è necessaria la presenza di acceleranti in quanto la temperatura svolge già bene questa funzione.

Catalizzatori
Il processo di polimerizzazione (gelificazione + indurimento), sia a freddo che a caldo, si innesca con l’aggiunta di “catalizzatori” che, contenendo una percentuale elevata di radicali liberi, sono sostanze molto instabili che, in certe condizioni possono esplodere con reazioni violente. Per evitare questo rischio, vengono forniti liquidi (dispersi in un plastificante) o in polvere (dispersi in una carica inerte).
In ogni caso non devono mai entrare in contatto con gli acceleranti per evitare una reazione esplosiva.                                      

I catalizzatori più comuni sono dei perossidi organici (MEKP- metil-etil-cheton-perossido per lo stampaggio a freddo e il   BPO- perossido di benzoile per lo stampaggio a caldo).
La reazione di polimerizzazione è sempre fortemente esotermica ed anche nello stampaggio a freddo può raggiungere un picco di 150°C.


Cariche e Additivi

Sono sostanze che possono essere inserite nelle matrici (resine) prima della catalisi per conferire certe proprietà migliorative e specifiche al composito finito.

Cariche
Sono in genere polveri inerti di origine minerale con granulometria dell’ordine dei microns (50 – 150 mu).
Vengono aggiunte anzitutto per ottenere un aumento del volume della matrice resinosa con una riduzione del costo, ma contemporaneamente apportando altri vantaggi come un miglioramento della rigidità dello stratificato, dell’aspetto superficiale, della stabilità dimensionale e della resistenza al fuoco.
In ogni caso, il totale delle cariche non dovrebbe mai superare il 25% in peso della resina per non alterare troppo le caratteristiche peculiari della matrice.
La carica più utilizzata nel mondo dei compositi è sicuramente il carbonato di calcio (CaCO3), anche grazie alla sua disponibilità ed al suo costo contenuto. Altre cariche di normale uso sono l’idrato di alluminio (Al(OH)3), l’ossido di alluminio (Al2O3), il talco (silicato di magnesio), la polvere di quarzo, i granuli di vetro soffiato.

Additivi
Per gli additivi valgono le stesse considerazioni fatte per le cariche; la loro funzione è quella di modificare alcune caratteristiche delle matrici nel senso voluto dal loro impiego finale.
Rispetto alle cariche, le loro quantità in gioco sono ridotte a % minime (da 0,2 a 2-3 %). I principali additivi utilizzati nella formulazione dei compositi sono:

agenti tissotropizzanti – si aggiungono alla resina per aumentarne la viscosità apparente che può venire ridotta sotto agitazione. Questa tissotropia permette di poter lavorare in parete verticale, evitando le colature al momento dell’applicazione della resina.  Il prodotto più usato a questo scopo è una polvere finissima di silice amorfa (99,8 % SiO2) con una densità apparente di 50 kg/m3 ed una coprenza di circa 200 m2/gr.

agenti antistatici – sono sostanze che diminuiscono la resistenza superficiale delle materie plastiche, impedendo o riducendo l’accumulo di cariche elettrostatiche dovute all’attrito. Si tratta di stearati, ftalocianine, ammine etossilate.

agenti ritardanti di fiamma – contribuiscono a frenare chimicamente la reazione di combustione rendendo difficile l’assorbimento di ossigeno (complessi organici alogenati a base di cloro o bromo), oppure formando rapidamente croste che riducono l’espandersi della fiamma (arilfosfati o arilsolfati); anche le cariche inorganiche favoriscono la  formazione di croste e, oltre i 200°C, sviluppano CO2 e vapore acqueo.In ogni caso, una ulteriore aggiunta di triossido di antimonio (SbO3) può sempre aumentare il tasso di autoestinguenza. Va poi ricordato che gli additivi di cui sopra riducono (non di molto) la resistenza agli agenti atmosferici.

agenti stabilizzanti alla luce – sono prodotti che riducono nel tempo l’ossidazione e la degradazione dovuta ai raggi UV. Il più comune stabilizzante alla luce è il nerofumo ma oggi si fa ricorso a prodotti derivati dal benzofenone e l’idrossifenilbenzotriazolo.

altri agenti modificanti – nella formulazione di matrici vengono usati molti altri agenti con la funzione di modificare in senso positivo il loro comportamento rispetto a particolari stati di sollecitazione. Tra questi possiamo ricordare:

– agenti flessibilizzanti (con funzioni antiurto)
– agenti plastificanti (per migliorare la deformabilità)
– agenti di adesione (per favorire l’adesività della matrice verso strati metallici o altre materie plastiche)
– agenti di espansione


Agenti Coloranti
Nei materiali compositi trovano scarso impiego i coloranti solubili in acqua, che normalmente chiamiamo “tinture” e si usano nell’industria tessile, delle pelli, degli inchiostri e, sotto stretto controllo, anche per cosmetica, alimentare e farmaceutica.

Nell’ industria dei compositi si usano invece i pigmenti, che sono assolutamente insolubili in acqua ed anche nella maggior parte delle resine liquide (veicoli) in cui vengono dispersi; queste dispersioni colorate devono essere in grado di aderire al supporto da colorare, prima di essiccare o indurire.
Un pigmento si caratterizza oltre che per la suddetta insolubilità, anche per la sua stabilità alla luce e al calore e per la sua inerzia chimica nei confronti dei prodotti con cui deve venire in contatto durante le varie fasi di lavorazione e di impiego.
I pigmenti si distinguono anzitutto tra organici ed inorganici.

Sono organici i pigmenti costituiti da molecole complesse in cui atomi di carbonio sono legati ad atomi di idrogeno, azoto e ossigeno. Si ricavano da sorgenti naturali (minerali, animali, vegetali) ma, più spesso, da processi chimico industriali. Forniscono colori molto brillanti ma più sensibili all’invecchiamento di quelli inorganici. In generale sono anche piuttosto costosi.

Sono inorganici i pigmenti di origine minerale (ossidi o solfuri di metalli) estratti direttamente dalle rocce e successivamente purificati prima di una esasperata macinatura fino ad ottenere polveri finissime di più facile dispersione nei veicoli resinosi. Rappresentano la maggioranza degli agenti coloranti usati nelle materie plastiche grazie ad una maggior stabilità alla luce e alla temperatura e ad un maggior potere coprente.
Una perfetta dispersione dei pigmenti nei veicoli resinosi è un’operazione lunga e costosa che è giustificata dalla colorazione diretta di grandi volumi; per tutti gli altri casi la colorazione avviene utilizzando dei prodotti intermedi, preparati da aziende specializzate, che sono dei pigmenti concentrati in plastificanti o agenti leganti liquidi e prendono il nome di “master batch”.
Questi, tramite un semplice agitatore, vengono aggiunti nelle proporzioni volute al veicolo da colorare, e costituiscono una fonte di colorazione rapida, sicura ed economica anche per volumi modesti.

I pigmenti inorganici offrono una vasta gamma di colori, in funzione della loro natura chimica, dal bianco al giallo, arancione, marrone, rosso, verde, blu fino al nero.
Il pigmento inorganico di gran lunga più usato è il Biossido di Titanio (TiO2), il tipico pigmento bianco con il più alto potere coprente, che trova larghissimo impiego nelle pitture e vernici di ogni tipo, negli inchiostri da stampa, nelle gomme, nell’industria cartaria e in tutti i tipi di materie plastiche.
Ne esistono due varianti principali – anatase e rutilo – che si differenziano per la loro struttura cristallina derivante dal minerale di partenza (ilmenite per l’anatase e rutilo minerale per il rutilo). Ne conseguono anche differenti proprietà tecniche: indice di rifrazione a vantaggio del rutilo (più alto potere coprente), densità più elevata per il rutilo così come una più alta stabilità chimico-fisica.
L’anatase ha un punto di bianco inferiore al rutilo e viene spesso usato per colorare fibre tessili, carta e per pitture stradali (segnaletica orizzontale). Il suo costo industriale risulta leggermente inferiore a quello del rutilo.
La produzione di TiO2 può avvenire con due processi: la classica via al solfato e la più recente via al cloroche danno prodotti equivalenti ma con un miglior punto di bianco per la via al cloro. Va poi sottolineato che il TiO2 è comunque un prodotto inerte ed atossico.


 Agenti distaccanti
Sono composti che impediscono al pezzo stampato di rimanere attaccato alle pareti dello stampo e ne facilitano il distacco. Si tratta di una famiglia molto ampia di prodotti specifici per le varie tecnologie di stampaggio che possono essere applicati a mano (sotto forma di cere ad alto punto di fusione) o spruzzati (come soluzioni di alcool polivinilico). La preparazione di uno stampo con agenti di distacco è un’operazione delicata e abbastanza lunga, nel senso che l’applicazione dell’agente distaccante va ripetuta più e più volte per essere sicuri di avere una protezione della parete la più lucida possibile.
Esistono anche agenti di distacco “interni” che vengono aggiunti alla resina ed hanno la funzione disupportare l’azione degli agenti di distacco esterni. In tal caso si possono ottenere multiple azioni di distacco con una sola applicazione dell’agente.
Esistono poi film distaccanti che possono rivestire le superfici dello stampo; si impiegano esclusivamente per le produzioni in continuo (lastre e tubazioni). Il film più diffuso a questo fine è il “MYLAR”, un film di poliestere che, a seconda dello spessore, può essere usato una sola volta (19 micron) o anche riusato 20-30 volte (75 micron).